Pubblicato su Meridiani
Relazioni Internazionali il 18 settembre 2012.
Autore: Marco Zoppi
La tormentata vicenda della penisola del Bakassi trova
probabilmente la sua sintesi perfetta nelle parole di Lord Salisbury,
primo ministro britannico che nel 1890 dichiarò candidamente che:
“Siamo
stati impegnati a disegnare linee su mappe dove nessun uomo bianco
aveva mai poggiato piede, abbiamo concesso monti e fiumi e laghi a
ognuno, ostacolati solo da un piccolo impedimento, ovvero che non
avevamo mai saputo esattamente dove si trovassero queste montagne,
fiumi e laghi”
Chissà
cosa sarebbe accaduto se il premier avesse avuto modo di vedere cosa
ne è stato del Bakassi: avrebbe, ci auguriamo, ripensato a quel
“piccolo” impedimento. Oggi, addirittura, c’è chi
parla
della penisola in termini di un potenziale Kashimir dell’Africa
Occidentale.
Perché
si torna a parlare del Bakassi a quasi 10 anni dal verdetto della
Corte Penale Internazionale, che aveva stabilito che il lembo di
terra conteso tra Nigeria e Cameroon era sotto la sovranità di
Yaoundé? La risposta si trova proprio in quel numero, dieci
anni.
L’articolo 61 della decisione della Corte del 10 ottobre 2002
stabilisce che nessuna domanda di revisione può esserle inoltrata
oltre il limite di 10 anni. Dunque, meno di un mese per la Nigeria
prima di perdere ogni possibilità (legale) di rivalsa su un verdetto
che non le è mai andato giù.
A
ricordare l’imminenza del termine ultimo è stato l’ordine
degli
avvocati nigeriani (NBA), per il quale il Camerun si è reso
colpevole di continue violazioni dei diritti fondamentali della
popolazione del Bakassi, individuando tuttavia delle responsabilità
anche del governo nigeriano.
In
particolare, l’Associazione riporta che molti residenti sono stati
costretti dalle autorità di Yaoundè a cambiare la loro
cittadinanza nigeriana, assumendo quella camerunense con il
fine ovvio di “naturalizzare” la penisola e giocare così la
carta demografica al tavolo delle negoziazioni.
Alcuni di quelli che si sono rifiutati, continua il documento dell’
NBA, hanno vissuto anche l’esperienza del carcere.
Su
queste basi, l’NBA ha sollecitato il governo nigeriano a ricorrere
presso la Corte
Internazionale di Giustizia entro
la scadenza fissata del 10 ottobre, prima cioè che questa
possibilità svanisca per sempre.
Una
riapertura del fascicolo da parte del governo nigeriano
rinvigorirebbe le speranze e aspirazioni dello Stato più popoloso
d’Africa, a scapito però dell’equilibrio dell’area, che
finirebbe nuovamente sotto il morso della tensione. Dal momento
dell’indipendenza dei due Stati, sono
state numerose le bagarre
di
confine che hanno non di rado anche lasciato morti sul campo:
basti ricordare gli incidenti di confine e le tensioni del 1981, del
1992, del ’94 e di nuovo nel ’96.
In
fondo, ci sono tutti gli ingredienti classici che purtroppo hanno
caratterizzato storicamente alcuni dei conflitti più sanguinosi nel
Continente africano e che fanno della penisola del Bakassi un case
study perfetto.
Una vicenda, quella del Bakassi, che è un altrettanto valido esempio
per comprendere gli effetti di lungo periodo del colonialismo sulle
società africane.
Prima
di tutto, l’elemento etnico: il
confine imposto dalla Corte ha diviso inevitabilmente la popolazione,
distribuendo appartenenti della stessa famiglia nelle due nazioni. Il
Camerun, inoltre, ha accusato a più riprese la Nigeria di fare uso
della differenza demografica (circa 130 milioni) per popolare il
Bakassi, così da rafforzare la sua posizione. Come si è visto, le
autorità camerunensi hanno risposto imponendo cambiamenti forzati
della cittadinanza.
In
secondo luogo, le risorse. La regione è di grande interesse
economico per le sue presunte risorse naturali, in particolare di
petrolio e gas naturali. Mancano ancora riscontri ufficiali, ma sono
diverse le multinazionali impegnate in trivellazioni di pozzi
esplorativi e Nigeria e Camerun avevano già raggiunto un accordo
per
sfruttare congiuntamente le risorse del sottosuolo.
Infine, il passato coloniale. I confini degli Stati,
tracciati con totale approssimazione, diventano oggi un facile e
pericolo pretesto dal momento in cui hanno perso la loro legittimità
agli occhi degli africani e sono di conseguenza rimessi in
discussione, dando animo a istanze nazionaliste dalle conseguenze
imprevedibili.
Il
Bakassi resta dunque conteso tra due nazioni.
Uno scontro armato di grandi proporzioni sembra essere un’ipotesi
da scartare. Tuttavia, nuovi episodi analoghi a quelli accaduti a più
riprese in passato (brevi incursioni militari da ambo le parti,
scontri tra civili) sono una minaccia reale. Per contro, i paesi
coinvolti hanno anche mostrato a più riprese la volontà di
negoziazione e di risoluzione pacifica della disputa, come dimostrato
dal Green
Tree Agreement, dallo
stesso ricorso all’ICJ e dal successivo rispetto del verdetto da
parte della Nigeria
Questa è una volontà che non deve essere frustrata.
Tuttavia, ammesso anche che la Nigeria faccia ricorso presso la Corte
dell’Aia, la situazione non cambierà di tanto, e un ribaltamento
del verdetto non appare come un’opzione credibile.
La
responsabilità della risoluzione pacifica sembra quanto mai sulle
spalle degli Stati interessati. Una prova di maturità politica e una
sfida all’eredità del colonialismo: solo unpiccolo impedimento,
nelle parole di Lord Salisbury.