Pubblicato su Meridiani Relazioni Internazionali il 13 ottobre 2012.
Autore: Marco Zoppi
La
scorsa settimana è stato pubblicato l’Africa’s
Pulse,
il report semestrale
redatto dalla Banca Mondiale che analizza le prospettive di crescita
del continente africano: una delle sue sezioni prende in esame la
composizione delle entrate statali e la dipendenza di queste economie
dalle risorse naturali. Quando si guarda ai tassi di crescita
sostenuti di molti paesi in Via di Sviluppo africani, alla loro
uscita dalla soglia di povertà e all’ampliamento del ceto medio
nazionale, è sempre opportuno chiedersi su cosa si stia fondando
questo sviluppo economico.
Leggendo
il lavoro svolto dalla BM, ci si accorgerà ben presto che è
possibile dividere questi Stati in due categorie: quelli
che hanno imparato a differenziare la loro produzione ed export, e
altri che invece sono pericolosamente dipendenti da una o poche
risorse i cui ricavi derivati costituiscono percentuali altissime
delle entrate statali e delle vendite oltre confine.
Nella seconda categoria rientrano ad esempio il Gabon, la cui
produzione di petrolio compone circa il 65% delle entrate e l’80%
dell’export, seguito solo dal commercio di legname grezzo e risorse
minerarie, e l’Angola, dove le attività legate al petrolio
garantiscono gettito per il 50% del PIL.
Sul
fronte della dipendenza dalla produzione di idrocarburi, incrociando
i dati dell’Africa’s
Pulse,
il caso più interessante per le implicazioni politiche e sociali,
oltre che economiche, che questa dipendenza comporta è sicuramente
quello della Nigeria. Qui si concentrano alcune delle variabili più
allarmanti per i prossimi decenni.
Si
tratta innanzitutto dello Stato più popoloso del continente, nono
per estensione territoriale nell’Africa Sub-Sahariana. Per quanti
credono nella teoria del ‘piccolo
è meglio‘
si tratta di una considerazione di non poco conto, poiché una sua
destabilizzazione avrebbe conseguenti ripercussioni di vasta portata
in tutta l’Africa Occidentale. Il suo export è praticamente
mono settoriale, e si concentra sul famigerato petrolio del Delta e
sul gas che insieme hanno assicurato alle casse statali 65 miliardi
di dollari, l’80% delle entrate nel 2010.
Si
tratta poi di uno Stato federale in forte tensione, prima di tutto
per la mancata equa distribuzione dei guadagni tra la popolazione: “i
soldi ricavati dal petrolio non passano per i cittadini, e questi non
percepiscono il benessere come proprio” sostiene il report
semestrale della Banca Mondiale. Tristemente
nota è la popolazione degli Ogoni, una delle 350 tribù che si
contano in Nigeria,
simbolo della comunità che sopravvive a fatica in un ambiente
devastato dalle perdite degli oleodotti e dal fenomeno del gas
flaring.
Infine,
e questo è il dato chiave, il petrolio che ha finora finanziato e
tenuto in piedi un sistema corrotto, quello dell’everyday
deception (il
raggiro quotidiano), abilmente raccontato da Daniel Jordan Smith,
potrebbe finire nel giro di pochi decenni. 41
anni di estrazione residui ai livelli di produzione del 2011,
secondo la previsione oltremodo precisa della Banca Mondiale
incapsulata nel report e in questi giorni ampiamenteriportata da
tutti i principali canali di informazione nigeriana.
Ciò
costringe la classe politica più responsabile, la popolazione, le
organizzazioni internazionali governative e non, e tutti
gli stakeholders a
quello scomodo esercizio che è immaginare un futuro per la Nigeria
senza l’oro nero. Scomodo, si intende, perché le alternative per
ora non sono molte e il tempo a disposizione è limitato.
Un
fallimento nel sostituire le entrate petrolifere con fonti
alternative farebbe saltare i meccanismi, spesso corrotti, che
mandano avanti il gigante sub-sahariano.
Economie
fortemente dipendenti da una risorsa tendono ad individuare e
sviluppare con fatica settori alternativi. Il
92% delle banconote in Guinea Equatoriale sono sporche di petrolio,
ma il governo e il presidente Obiang fanno finta di non
saperlo.
Probabilmente perchè quest’ultimo è impegnato a gestire un
patrimonio personale stimato in 600 milioni di dollari, mentre il
resto dell’economia ristagna e il Mouvement
d’Autodetermination de l’Ile de Bioko preme
per la secessione.
Come
si prospetta un futuro senza petrolio per la Nigeria? Di colpo, le
aree devastate dalle attività estrattive si rivelerebbero in tutta
la loro inutilità, e “inutilizzabilità” a livello economico. Se
il turismo non è già più nella agenda da anni, è impensabile
anche bonificare in tempi brevi e con spese ridotte almeno una parte
della superficie contaminata. Ciò
comporterebbe un aumento della povertà e la fine di ogni tipo di
attività collaterale connessa all’estrazione,
in un paese in cui ad oggi il 20% della popolazione più povera ha
accesso al solo 5,1% della ricchezza nazionale. Comunità che non
hanno mai visto un soldo ricavato dal petrolio, che si sono accollate
la maggior parte dei danni da esso provocati e
che nutrono risentimento e un’inquietante disaffezione dal governo
centrale.
Oltre
a questo problema, di per sé già enorme, c’è quello
dell’amministrazione pubblica, oggi abituata a funzionare tramite
dinamiche di clientelismo, attingendo dalle casse federali come
fossero un pozzo senza fondo. Come si riconfigurerebbe il gettito del
paese senza il costante afflusso di soldi provenienti dal petrolio?
Chi detterebbe le nuove regole del gioco? E come reagirebbero gli
esclusi, per esempio, negli alti ranghi dell’esercito?
La
stessa produzione di energia sostenibile diventerebbe problematica:
uno Stato che non incentiva produzioni alternative di energia, non
promuove l’iniziativa imprenditoriale locale, né tanto meno
incoraggia gli investimenti esteri, tradizionalmente avversi al
rischio. Nelle
zone rurali, dove vive più della metà dei nigeriani, si fa ancora
largo uso della legna come combustibile.
Il trend della deforestazione va peggiorando, e l’enorme
potenziale delle biomasse viene ignorato.
La
Nigeria ha bisogno di una politica energetica nazionale integrata che
possa guidare lo sviluppo di risorse alternative nei prossimi anni,
migliorare la gestione attuale delle risorse non rinnovabili e
provvedere alla costruzione delle infrastrutture necessarie. Novità
e risposte potrebbero arrivare dal Forum ECOWAS
previsto a fine mese ad Accra, Ghana, il cui tema è proprio quello
dell’energia sostenibile e efficienza energetica in Africa
Occidentale.
Devastazione
ambientale, tensione sociale e politica, stagnazione economica
riempiono un ipotetico scenario futuro. Problemi che necessitano di
risposte immediate. Fino ad allora, il futuro della Nigeria appare
nero, e questa volta non per il petrolio.