Autore: Marco Zoppi
Per la prima volta Israele
riconosce di aver costretto le immigrate etiopi a subire iniezioni
contraccettive per entrare nel paese. Il 28 gennaio, Roni Gamzo, direttore del
ministero della salute israeliano, ha emesso una direttiva ufficiale con cui si
è rivolto a medici e associazioni di ginecologi (che operano soprattutto nei
campi profughi e in quelli di transito per i migranti verso Israele)
avvisandoli di “non somministrare il Depo-Provera a donne di origine etiope
senza il loro consenso”. Il contenuto della lettera suona come una – seppur
timida – ammissione di quanto in passato era sempre stato negato.
Per anni sarebbero state
effettuate somministrazioni coatte del farmaco, eseguite già inEtiopia
all’interno dei centri di transito: le donne desiderose di partire per Israele
hanno subito un vero e proprio ricatto da parte delle operatrici sanitarie
israeliane, che hanno imposto loro l’assunzione del Depo-Provera come
condizione per poter portare a termine il viaggio. Il farmaco necessita di
essere iniettato più volte durante l’anno perchè sia efficace, così le altre
dosi hanno atteso le donne etiopi in Israele.
In un dialogo intercettato e
riportato dal The Time of Israel una operatrice sanitaria spiega che il farmaco
è somministrato “soprattutto a donne etiopi perché loro dimenticano, non
capiscono, ed è difficile spiegare; per cui la cosa migliore è che ricevano una
dosa ogni tre mesi…praticamente loro [di questa cosa] non capiscono niente”. Si
deve supporre dunque che non vengano nemmeno spiegati loro gli effetti
collaterali del Depo-Provera, tra cui infertilità, malattie tromboemboliche,
colestasi, carcinomi mammari.
Gli etiopi presenti in Israele
sono perlopiù membri della comunità falascia (o Beta Israel) e sono di
religione ebraica. La loro origine e il colore della pelle hanno però
alimentato forme di discriminazione (ad esempio, il rifiuto di ricevere il loro
sangue nelle donazioni ospedaliere) che li relegano agli ultimi posti della
gerarchia sociale dello stato di Israele.
L’integrazione dei falascia
rimane ancora un miraggio: Irin (Integrated Regional Information Networks)
calcola che il 52% dei 120.000 etiopi (Falascia e non) presenti in Israele vive
al di sotto della soglia di povertà. Un’inchiesta del quotidiano Haaretz – che
ha indagato sul crollo delle nascite all’interno della comunità etiope –
avrebbe rilevato in dieci anni un dimezzamento delle nascite nella comunità.
Entro la fine del 2013 è anche stataannunciata la chiusura dei campi di
transito presenti in Etiopia. L’idea di “integrazione” israeliana riguarda
tutti gli immigrati africani in Israele, considerati dal primo ministro
Netanyahu una minaccia per la stessa esistenza dello stato ebraico.
Diversi video sul web mostrano
gli episodi di iniezione forzata. In un servizio di Al Jazeerauna donna
racconta ciò che le è stato riferirito poco prima di ricevere il farmaco: “Non
hai bisogno di partorire tante volte; se lo fai, soffrirai nel corso della tua
vita. Quello di cui hai bisogno in Israele è di un lavoro”.
La somministrazione del farmaco
potrebbe ormai aver raggiunto il suo scopo, quello di indurre l’infertilità
nelle donne etiopi. Eloquente, da questo punto di vista, la sedia vuota
lasciata da Israele martedì 29 gennaio al Consiglio per i Diritti Umani delle
Nazioni Unite.
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