BBC News - Africa

giovedì 20 settembre 2012

Il “piccolo impedimento” del passato sulla penisola contesa del Bakassi



Pubblicato su Meridiani Relazioni Internazionali il 18 settembre 2012.
Autore: Marco Zoppi


La tormentata vicenda della penisola del Bakassi trova probabilmente la sua sintesi perfetta nelle parole di Lord Salisbury, primo ministro britannico che nel 1890 dichiarò candidamente che:
Siamo stati impegnati a disegnare linee su mappe dove nessun uomo bianco aveva mai poggiato piede, abbiamo concesso monti e fiumi e laghi a ognuno, ostacolati solo da un piccolo impedimento, ovvero che non avevamo mai saputo esattamente dove si trovassero queste montagne, fiumi e laghi
Chissà cosa sarebbe accaduto se il premier avesse avuto modo di vedere cosa ne è stato del Bakassi: avrebbe, ci auguriamo, ripensato a quel “piccolo” impedimento. Oggi, addirittura, c’è chi parla della penisola in termini di un potenziale Kashimir dell’Africa Occidentale.
Perché si torna a parlare del Bakassi a quasi 10 anni dal verdetto della Corte Penale Internazionale, che aveva stabilito che il lembo di terra conteso tra Nigeria e Cameroon era sotto la sovranità di Yaoundé? La risposta si trova proprio in quel numero, dieci anni. L’articolo 61 della decisione della Corte del 10 ottobre 2002 stabilisce che nessuna domanda di revisione può esserle inoltrata oltre il limite di 10 anni. Dunque, meno di un mese per la Nigeria prima di perdere ogni possibilità (legale) di rivalsa su un verdetto che non le è mai andato giù.

A ricordare l’imminenza del termine ultimo è stato l’ordine degli avvocati nigeriani (NBA), per il quale il Camerun si è reso colpevole di continue violazioni dei diritti fondamentali della popolazione del Bakassi, individuando tuttavia delle responsabilità anche del governo nigeriano.
In particolare, l’Associazione riporta che molti residenti sono stati costretti dalle autorità di Yaoundè a cambiare la loro cittadinanza nigeriana, assumendo quella camerunense con il fine ovvio di “naturalizzare” la penisola e giocare così la carta demografica al tavolo delle negoziazioni. Alcuni di quelli che si sono rifiutati, continua il documento dell’ NBA, hanno vissuto anche l’esperienza del carcere.
Su queste basi, l’NBA ha sollecitato il governo nigeriano a ricorrere presso la Corte Internazionale di Giustizia entro la scadenza fissata del 10 ottobre, prima cioè che questa possibilità svanisca per sempre.
Una riapertura del fascicolo da parte del governo nigeriano rinvigorirebbe le speranze e aspirazioni dello Stato più popoloso d’Africa, a scapito però dell’equilibrio dell’area, che finirebbe nuovamente sotto il morso della tensione. Dal momento dell’indipendenza dei due Stati, sono state numerose le bagarre di confine che hanno non di rado anche lasciato morti sul campo: basti ricordare gli incidenti di confine e le tensioni del 1981, del 1992, del ’94 e di nuovo nel ’96.

In fondo, ci sono tutti gli ingredienti classici che purtroppo hanno caratterizzato storicamente alcuni dei conflitti più sanguinosi nel Continente africano e che fanno della penisola del Bakassi un case study perfetto. Una vicenda, quella del Bakassi, che è un altrettanto valido esempio per comprendere gli effetti di lungo periodo del colonialismo sulle società africane.

Prima di tutto, l’elemento etnico: il confine imposto dalla Corte ha diviso inevitabilmente la popolazione, distribuendo appartenenti della stessa famiglia nelle due nazioni. Il Camerun, inoltre, ha accusato a più riprese la Nigeria di fare uso della differenza demografica (circa 130 milioni) per popolare il Bakassi, così da rafforzare la sua posizione. Come si è visto, le autorità camerunensi hanno risposto imponendo cambiamenti forzati della cittadinanza.

In secondo luogo, le risorse. La regione è di grande interesse economico per le sue presunte risorse naturali, in particolare di petrolio e gas naturali. Mancano ancora riscontri ufficiali, ma sono diverse le multinazionali impegnate in trivellazioni di pozzi esplorativi e Nigeria e Camerun avevano già raggiunto un accordo per sfruttare congiuntamente le risorse del sottosuolo.

Infine, il passato coloniale. I confini degli Stati, tracciati con totale approssimazione, diventano oggi un facile e pericolo pretesto dal momento in cui hanno perso la loro legittimità agli occhi degli africani e sono di conseguenza rimessi in discussione, dando animo a istanze nazionaliste dalle conseguenze imprevedibili.
Il Bakassi resta dunque conteso tra due nazioni. Uno scontro armato di grandi proporzioni sembra essere un’ipotesi da scartare. Tuttavia, nuovi episodi analoghi a quelli accaduti a più riprese in passato (brevi incursioni militari da ambo le parti, scontri tra civili) sono una minaccia reale. Per contro, i paesi coinvolti hanno anche mostrato a più riprese la volontà di negoziazione e di risoluzione pacifica della disputa, come dimostrato dal Green Tree Agreement, dallo stesso ricorso all’ICJ e dal successivo rispetto del verdetto da parte della Nigeria
Questa è una volontà che non deve essere frustrata. Tuttavia, ammesso anche che la Nigeria faccia ricorso presso la Corte dell’Aia, la situazione non cambierà di tanto, e un ribaltamento del verdetto non appare come un’opzione credibile.
La responsabilità della risoluzione pacifica sembra quanto mai sulle spalle degli Stati interessati. Una prova di maturità politica e una sfida all’eredità del colonialismo: solo unpiccolo impedimento, nelle parole di Lord Salisbury.

mercoledì 5 settembre 2012

Madagascar: due presidenti per una poltrona




Pubblicato su Meridiani Relazioni Internazionali il 3 settembre 2012
 Autore: Marco Zoppi


I due leader che hanno spaccato a metà la storia politica recente del Madagascar si sono incontrati l’ultima volta lo scorso 8 luglio su Desroches, un’isoletta dell’arcipelago delle Seychelles.

Da un lato Andry Nirina Rajoelina, 38 anni, attuale presidente dell’Alta Autorità di Transizione, il massimo organismo di potere malgascio che ha assunto le sue funzioni in seguito al colpo di Stato del 21 marzo 2009 guidato dallo stesso Rajoelina. Dall’altro Marc Ravalomanana, ex presidente in fuga in Sudafrica, il cui ritorno pacifico in Madagascar è oggetto degli incontri internazionali.

La rivalità tra i due è sempre stata forte e ha intralciato fatalmente tanto gli interessi politici che quelli economici dei due presidenti, che vantano anche una fruttuosa carriera da imprenditori.

Rajoelina entra in politica sfruttando la porta aperta dal successo e della notorietà (nel suo curriculum si legge: ex DJ, organizzatore di eventi e concerti, proprietario di una radio e TV) proprio negli anni della presidenza di Marc Ravalomanana. Finché nel dicembre del 2007 si candida con successo come sindaco della capitale Antananarivo.

Da allora lo scontro è stato continuo. Tra le storie più famose che hanno valicato i confini nazionali c’è quella della Daewoo. Il gruppo sudcoreano aveva raggiunto l’accordo con il presidente deposto per l’acquisto di 1,3 milioni di ettari di terreno finalizzato alla produzione di granturco e olio di palma, salvo poi vedersi stracciare l’accordo dopo l’insediamento di Rajoelina, fortemente contrario alla “svendita” del territorio nazionale.

In mezzo a questa storia ci sono anche i morti dei primi mesi del 2009, quando durante le proteste in piazza contro le politiche definite autoritarie di Ravalomanana l’esercito spara sui manifestanti. Il bilancio è di 130 morti e segna la fine politica del presidente, che incalzato dall’esercito ammutinato e abbandonato dai suoi lascia il Paese il 17 marzo per trovare asilo in Swaziland e poi in Sudafrica.

E’ da queste premesse partono i reconciliation meeting, che hanno visto alternarsi nel tempo mediatori delle Nazioni Unite, Didier Ratsiraka e Albert Zafy (ex presidenti del Madagascar), rappresentanti dell’Unione Africana, dell’Organizzazione Internazionale per la Francofonia e della SADC (Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale).

L’impegno profuso sembra dare risultati e prospettive di stabilità: secondo Tomaz Salomão, Segretario Generale della SADC, gli unici punti non risolti nel penultimo incontro alle Seychelles del 25 luglio erano il ritorno di Ravalomanana e le elezioni presidenziali e parlamentari, sulle quali restava da decidere se dovevano tenersi simultaneamente o no. Che direzione abbia preso il successivo e ultimo incontro di Desroches dell’8 agosto non è chiaro, ma sembrerebbe che anche il problema delle elezioni sia stato in qualche modo risolto, prevedendo due turni a maggio e luglio 2013. Un ulteriore tavolo di trattative è stato offerto dall’incontro dei capi di Stato e di governo dei membri della SADC, terminato a Maputo il 18 agosto, al quale sono stati entrambi invitati a partecipare.

L’ultima questione, e non di poco peso, è dunque il rientro a Antananarivo del presidente eletto democraticamente Ravalomanana, sul quale grava la condanna a vita ai lavori forzati emessa da una corte messa in piedi subito dopo il colpo di Stato del 2009 e mai riconosciuta dall’opposizione. Rajoelina ha scoperto le sue carte subito dopo il vertice dell’8 agosto, dichiarando che il ritorno al potere del suo rivale è una prospettiva da tenere lontana “a tutti i costi”: “Quando Ravalomanana è salito al potere nel 2002, c’erano morti ovunque sull’isola. Quando se ne è andato [è stato rovesciato n.d.r.] c’erano morti. Ora siamo nel 2012, e vuole tornare al potere. Costi quel che costi, non deve”.

Dichiarazioni che non lasciano spazio per una soluzione pacifica e che non assicurano l’incolumità tanto del presidente quando dei suoi sostenitori in caso di un ritorno.

Nel frattempo si avvicina la data dell’8 maggio 2013, individuata dai due in seguito alle pressioni della SADC per l’election day presidenziale secondo la roadmap firmata nel settembre 2011. Due presidenti per una nazione e pochi mesi per risolvere l’ultima questione pendente prima delle elezioni che potrebbero mettere fine a quelli che tra poco saranno 4 anni di instabilità politica. Inevitabile supporre che la riappacificazione dovrà necessariamente passare dal ritiro di uno dei presidenti dalla prossima corsa elettorale.

Rajoelina si è detto pronto a lasciare, se il suo gesto può contribuire a “salvare la nazione”, ma alla condizione che Ravalomanana non rimetta piede in Madagascar. E allora una figura chiave potrebbe emergere da uno degli altri otto partiti malgasci coinvolti nella roadmap.


Ma se due candidati per una poltrona vanno già stretti, ci sarà posto per un terzo?