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lunedì 15 ottobre 2012

La Banca Mondiale avverte la Nigeria: senza petrolio tra 40 anni





Pubblicato su Meridiani Relazioni Internazionali il 13 ottobre 2012.
 Autore: Marco Zoppi


La scorsa settimana è stato pubblicato l’Africa’s Pulse, il report semestrale redatto dalla Banca Mondiale che analizza le prospettive di crescita del continente africano: una delle sue sezioni prende in esame la composizione delle entrate statali e la dipendenza di queste economie dalle risorse naturali. Quando si guarda ai tassi di crescita sostenuti di molti paesi in Via di Sviluppo africani, alla loro uscita dalla soglia di povertà e all’ampliamento del ceto medio nazionale, è sempre opportuno chiedersi su cosa si stia fondando questo sviluppo economico.

Leggendo il lavoro svolto dalla BM, ci si accorgerà ben presto che è possibile dividere questi Stati in due categorie: quelli che hanno imparato a differenziare la loro produzione ed export, e altri che invece sono pericolosamente dipendenti da una o poche risorse i cui ricavi derivati costituiscono percentuali altissime delle entrate statali e delle vendite oltre confine. Nella seconda categoria rientrano ad esempio il Gabon, la cui produzione di petrolio compone circa il 65% delle entrate e l’80% dell’export, seguito solo dal commercio di legname grezzo e risorse minerarie, e l’Angola, dove le attività legate al petrolio garantiscono gettito per il 50% del PIL.

Sul fronte della dipendenza dalla produzione di idrocarburiincrociando i dati dell’Africa’s Pulse, il caso più interessante per le implicazioni politiche e sociali, oltre che economiche, che questa dipendenza comporta è sicuramente quello della Nigeria. Qui si concentrano alcune delle variabili più allarmanti per i prossimi decenni.

Si tratta innanzitutto dello Stato più popoloso del continente, nono per estensione territoriale nell’Africa Sub-Sahariana. Per quanti credono nella teoria del ‘piccolo è meglio‘ si tratta di una considerazione di non poco conto, poiché una sua destabilizzazione avrebbe conseguenti ripercussioni di vasta portata in tutta l’Africa Occidentale. Il suo export è praticamente mono settoriale, e si concentra sul famigerato petrolio del Delta e sul gas che insieme hanno assicurato alle casse statali 65 miliardi di dollari, l’80% delle entrate nel 2010.

Si tratta poi di uno Stato federale in forte tensione, prima di tutto per la mancata equa distribuzione dei guadagni tra la popolazione: “i soldi ricavati dal petrolio non passano per i cittadini, e questi non percepiscono il benessere come proprio” sostiene il report semestrale della Banca Mondiale. Tristemente nota è la popolazione degli Ogoni, una delle 350 tribù che si contano in Nigeria, simbolo della comunità che sopravvive a fatica in un ambiente devastato dalle perdite degli oleodotti e dal fenomeno del gas flaring.

Infine, e questo è il dato chiave, il petrolio che ha finora finanziato e tenuto in piedi un sistema corrotto, quello dell’everyday deception (il raggiro quotidiano), abilmente raccontato da Daniel Jordan Smith, potrebbe finire nel giro di pochi decenni. 41 anni di estrazione residui ai livelli di produzione del 2011, secondo la previsione oltremodo precisa della Banca Mondiale incapsulata nel report e in questi giorni ampiamenteriportata da tutti i principali canali di informazione nigeriana.

Ciò costringe la classe politica più responsabile, la popolazione, le organizzazioni internazionali governative e non, e tutti gli stakeholders a quello scomodo esercizio che è immaginare un futuro per la Nigeria senza l’oro nero. Scomodo, si intende, perché le alternative per ora non sono molte e il tempo a disposizione è limitato.

Un fallimento nel sostituire le entrate petrolifere con fonti alternative farebbe saltare i meccanismi, spesso corrotti, che mandano avanti il gigante sub-sahariano.

Economie fortemente dipendenti da una risorsa tendono ad individuare e sviluppare con fatica settori alternativi. Il 92% delle banconote in Guinea Equatoriale sono sporche di petrolio, ma il governo  e il presidente Obiang fanno finta di non saperlo. Probabilmente perchè quest’ultimo è impegnato a gestire un patrimonio personale stimato in 600 milioni di dollari, mentre il resto dell’economia ristagna e il Mouvement d’Autodetermination de l’Ile de Bioko preme per la secessione.

Come si prospetta un futuro senza petrolio per la Nigeria? Di colpo, le aree devastate dalle attività estrattive si rivelerebbero in tutta la loro inutilità, e “inutilizzabilità” a livello economico. Se il turismo non è già più nella agenda da anni, è impensabile anche bonificare in tempi brevi e con spese ridotte almeno una parte della superficie contaminata. Ciò comporterebbe un aumento della povertà e la fine di ogni tipo di attività collaterale connessa all’estrazione, in un paese in cui ad oggi il 20% della popolazione più povera ha accesso al solo 5,1% della ricchezza nazionale. Comunità che non hanno mai visto un soldo ricavato dal petrolio, che si sono accollate la maggior parte dei danni da esso provocati e che nutrono risentimento e un’inquietante disaffezione dal governo centrale.

Oltre a questo problema, di per sé già enorme, c’è quello dell’amministrazione pubblica, oggi abituata a funzionare tramite dinamiche di clientelismo, attingendo dalle casse federali come fossero un pozzo senza fondo. Come si riconfigurerebbe il gettito del paese senza il costante afflusso di soldi provenienti dal petrolio? Chi detterebbe le nuove regole del gioco? E come reagirebbero gli esclusi, per esempio, negli alti ranghi dell’esercito?

La stessa produzione di energia sostenibile diventerebbe problematica: uno Stato che non incentiva produzioni alternative di energia, non promuove l’iniziativa imprenditoriale locale, né tanto meno incoraggia gli investimenti esteri, tradizionalmente avversi al rischio. Nelle zone rurali, dove vive più della metà dei nigeriani, si fa ancora largo uso della legna come combustibile. Il  trend della deforestazione va peggiorando, e l’enorme potenziale delle biomasse viene ignorato.

La Nigeria ha bisogno di una politica energetica nazionale integrata che possa guidare lo sviluppo di risorse alternative nei prossimi anni, migliorare la gestione attuale delle risorse non rinnovabili e provvedere alla costruzione delle infrastrutture necessarie. Novità e risposte potrebbero arrivare dal Forum ECOWAS previsto a fine mese ad Accra, Ghana, il cui tema è proprio quello dell’energia sostenibile e efficienza energetica in Africa Occidentale.

Devastazione ambientale, tensione sociale e politica, stagnazione economica riempiono un ipotetico scenario futuro. Problemi che necessitano di risposte immediate. Fino ad allora, il futuro della Nigeria appare nero, e questa volta non per il petrolio.

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