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sabato 9 febbraio 2013

Israele, contraccezione forzata sulle immigrate etiopi




Pubblicato su Meridiani Relazioni Internazionali il 6 febbraio 2013.
Autore: Marco Zoppi


Per la prima volta Israele riconosce di aver costretto le immigrate etiopi a subire iniezioni contraccettive per entrare nel paese. Il 28 gennaio, Roni Gamzo, direttore del ministero della salute israeliano, ha emesso una direttiva ufficiale con cui si è rivolto a medici e associazioni di ginecologi (che operano soprattutto nei campi profughi e in quelli di transito per i migranti verso Israele) avvisandoli di “non somministrare il Depo-Provera a donne di origine etiope senza il loro consenso”. Il contenuto della lettera suona come una – seppur timida – ammissione di quanto in passato era sempre stato negato.

Per anni sarebbero state effettuate somministrazioni coatte del farmaco, eseguite già inEtiopia all’interno dei centri di transito: le donne desiderose di partire per Israele hanno subito un vero e proprio ricatto da parte delle operatrici sanitarie israeliane, che hanno imposto loro l’assunzione del Depo-Provera come condizione per poter portare a termine il viaggio. Il farmaco necessita di essere iniettato più volte durante l’anno perchè sia efficace, così le altre dosi hanno atteso le donne etiopi in Israele.

In un dialogo intercettato e riportato dal The Time of Israel una operatrice sanitaria spiega che il farmaco è somministrato “soprattutto a donne etiopi perché loro dimenticano, non capiscono, ed è difficile spiegare; per cui la cosa migliore è che ricevano una dosa ogni tre mesi…praticamente loro [di questa cosa] non capiscono niente”. Si deve supporre dunque che non vengano nemmeno spiegati loro gli effetti collaterali del Depo-Provera, tra cui infertilità, malattie tromboemboliche, colestasi, carcinomi mammari.

Gli etiopi presenti in Israele sono perlopiù membri della comunità falascia (o Beta Israel) e sono di religione ebraica. La loro origine e il colore della pelle hanno però alimentato forme di discriminazione (ad esempio, il rifiuto di ricevere il loro sangue nelle donazioni ospedaliere) che li relegano agli ultimi posti della gerarchia sociale dello stato di Israele.

L’integrazione dei falascia rimane ancora un miraggio: Irin (Integrated Regional Information Networks) calcola che il 52% dei 120.000 etiopi (Falascia e non) presenti in Israele vive al di sotto della soglia di povertà. Un’inchiesta del quotidiano Haaretz – che ha indagato sul crollo delle nascite all’interno della comunità etiope – avrebbe rilevato in dieci anni un dimezzamento delle nascite nella comunità. Entro la fine del 2013 è anche stataannunciata la chiusura dei campi di transito presenti in Etiopia. L’idea di “integrazione” israeliana riguarda tutti gli immigrati africani in Israele, considerati dal primo ministro Netanyahu una minaccia per la stessa esistenza dello stato ebraico.

Diversi video sul web mostrano gli episodi di iniezione forzata. In un servizio di Al Jazeerauna donna racconta ciò che le è stato riferirito poco prima di ricevere il farmaco: “Non hai bisogno di partorire tante volte; se lo fai, soffrirai nel corso della tua vita. Quello di cui hai bisogno in Israele è di un lavoro”.

La somministrazione del farmaco potrebbe ormai aver raggiunto il suo scopo, quello di indurre l’infertilità nelle donne etiopi. Eloquente, da questo punto di vista, la sedia vuota lasciata da Israele martedì 29 gennaio al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.


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